I misteri del saio

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“La fragilità umana umiliata dalla tentazione anche quando s’indossa il saio. I guardiani del bene sedotti dalla corruzione, dall’avidità e dal denaro. Forti della consapevolezza e della fiducia che riponevano in loro i fedeli,abbagliati dalle ricchezze effimere terrene, saccheggiavano le anime.”                                                                                                                                                        Adriano Nicosia

 

Preti e mafiosi. Due ruoli che di natura dovrebbero essere irriducibili ed inconciliabili. Non è stato così nella Sicilia degli anni 50.

Mazzarino era ed è un piccolo comune del nisseno, reso celebre per il suo convento, per il suo priore e per i fraticelli che invece di contrapporsi al potere delinquenziale denunciando le richieste ed i misfatti, piegarono molte vittime alla volontà dei malfattori.

“Pagate e nulla vi accadrà”: era questo lo slogan dei conventuali.

La loro prima vittima fu padre Costantino, il giorno del suo compleanno che, per sua sfortuna, aveva proprio deciso di festeggiarlo al convento di Mazzarino. A questi seguì il ricco possidente Angelo Cannada, freddato da colpi di fucile, proprio a due passi dalla sua residenza di campagna. Il malcapitato, nonostante numerose sollecitazioni, si era rifiutato di pagare. In seguito fu la volta del farmacista insieme ad altri notabili.

I fraticelli pagarono il conto con la giustizia terrena (con quella ultraterrena non è dato saperlo!).

Il processo iniziò nel 1962 e, tra mille coinvolgimenti, si allungò fino al 1964. In un primo momento furono assolti per lo “stato di necessità”, erano costretti, per arrecare minor danno alle vittime, a convincerli a pagare. La tesi processuale che voleva i monaci di Mazzarino a capo di un’associazione mafiosa dedita all’estorsione divise l’Italia tra innocentisti e colpevolisti. Per i difensori i frati non potevano sottrarsi allo spiacevole ruolo di emissari dei misteriosi criminali che imperversavano nel paese, anzi tennero un comportamento lodevole, quasi da eroi cristiani. Per l’accusa i francescani erano stati gli ideatori dei delitti, mossi da impulsi di avidità terreni.
Alla fine, la Cassazione condannò Padre Venanzio, Padre Agrippino e Fra’ Carmelo a 13 anni di carcere.

Tg Telemonterosa – Piemonte

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Rassegna stampa nazionale

La Repubblica

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Oltrepensiero – Rivista Telematica di Cultura e Attualità

” ….. Ricco di spunti e provocazioni morali e’ un racconto da conservare per la memoria dei posteri”.

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Il recensore, il quotidiano online del lettore

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Recensione di Manuela Prato – critico Redazione – scrittori emergenti

“……….In chiave diversa l’abilità di uno Sciascia del dopo duemila.”

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Elapsus – Cultural webzine 

” …..Il punto in comune con Sciascia: la concretezza dei fatti, il coraggio di rappresentare le cose e certe realtà. Mentre il primo lo faceva in versione pessimistica, Nicosia è all’opposto: indica invisibilmente la via ridando al lettore la “consapevolezza della riflessione positiva” – così lo definisce uno dei suoi lettori su ibs.it” Giulia M.

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Recensioni :

“La storia è molto accattivante. I personaggi sono descritti in maniera molto nitida. Le sensazioni da loro vissute come, l’angoscia, la paura, prendono il lettore parte integrante della vicenda. Avrei voluto sapere molto di più sulla vicenda………” (Sara Prossomariti – Critico letterario, giornalista, fondatrice “Club di Athina”).

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“Il secondo romanzo di Adriano Nicosia è un libro piacevole e scorrevole, che si legge con facilità e interesse. Ambientato nella Sicilia degli anni ’60 il romanzo riporta un fatto di cronaca giudiziaria legato alla mafia locale. Nell’addentrarsi lungo la complessa trama del racconto, il lettore respira l’atmosfera, assolata e claustrofobica dei romanzi (e dei saggi) di Leonardo Sciascia e si muove in quella zona grigia dove l’afflato etico si scontra con la dura realtà  sociologica della provincia siciliana per uscirne, se non sconfitto, quanto meno malconcio. Sono pochi, infatti, i personaggi che escono “immacolati” da questa inquietante vicenda di vessazioni e concussioni. “I misteri del saio” è un romanzo poco “romanzesco”, nel senso che si situa in mezzo tra la novella, la cronaca, il saggio e il reportage giornalistico. Da una parte è ricco di dialoghi, per cui il plot si sviluppa più attraverso gli scambi di battute dei protagonisti (spesso colti nella freschezza icastica del dialetto), come se fosse un testo teatrale o una sceneggiatura cinematografica), dall’altra il risultato è quello di racconto-dossier, quasi una raccolta di materiale preliminare, realizzata in vista di essere sviluppato nella veste finale del romanzo. La scrittura è semplice e la trama avvincente perchè la storia è intrigante.”
(Andrea Monda – critico letterario, giornalista de “L’Avvenire”, scrittore, uno tra i responsabili di Bombacarta romana)

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Che la Sicilia sia e sia sempre stata terra dalle “numerose compresenze gestionali” non è cosa nuova, né penso che sarà diversamente in futuro. E con questo non voglio esprimere un giudizio di valore circa la questione, quanto ricordare ai lettori che la frase iniziale di questa recensione è la considerazione principe che emerge in coloro che leggono questo romanzo-realtà di Adriano Nicosia. Fino a quando esisteranno sacche di forte povertà ed analfabetismo, unite a volte anche ad un’assente “educazione al lavoro”, non solo la Sicilia, ma molte parti del mondo dovranno vivere in connivenza con poteri non proprio legalmente riconosciuti. Non è nemmeno necessario, per apprezzare il testo I misteri del saio, sapere se ciò che ci viene descritto e raccontato sia vero o meno, perché l’intreccio della storia è semplice e scorrevole, facendo appello ad un realismo letterario avvincente e convincente. Il testo lo si legge velocemente, perché i personaggi sono facilmente riconoscibili in atteggiamenti che, per coloro che conoscono un poco la Sicilia, sono ancora presenti in molte zone dell’isola. Ed il loro fascino, il loro mistero, è proposto dal Nicosia con frasi brevi, concise ma molto efficaci, secondo il linguaggio che sono soliti usare fra loro i nisseni. Eh, si! Il Nicosia è di San Cataldo, in provincia di Caltanissetta, e conosce bene la propria gente, così come è appassionato della storia della terra che gli ha dato i natali…

I misteri del saio è quindi un testo fresco e di facile comprensione, anche quando i personaggi parlano in siciliano, una lingua decisamente musicale ed emozionante, specie per chi, come me, ha avuto la fortuna di frequentare questa meravigliosa isola, colma di contraddizioni ma abitata da persone argute, silenziose ed eloquenti… quasi sempre, come in questo romanzo, anche quando tacciono.

( Prof. Alessandro Bertirotti – docente di Antropologia Culturale e della Mente presso l’Università degli Studi di Firenze. È direttore scientifico della collana Antropologia e Scienze cognitive per la Bonanno Edizioni, curatore delle rubriche Biomusicologia e Psicologia e Musica, e membro della Direzione scientifica della Rivista scientifica on-line www.psicolab.net.)

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I misteri del Saio (A&B, 2009) è il secondo romanzo di Adriano Nicosia, già autore di “Cogli la rosa evita le spine” (Il filo, 2007). Un testo di qualità, sia dal punto di vista narrativo sia da quello linguistico. Un testo capace di suscitare interesse su una storia (fatto di cronaca locale) molto difficile da raccontare. La strada intrapresa dall’autore è piena di ostacoli ma riesce a districarsi con la sapienza e la maturità di uno scrittore certamente non alle prime armi.

Se c’è un difetto, in quest’opera, è quello però di voler chiudere troppo presto, come se la materia utilizzata potesse dire anche di più. L’impressione è quella di un fuoco che intraprende un percorso, una via d’uscita comunque validissima, ma che vorrebbe allargarsi per altre vie e non vi riesce.

Il linguaggio è semplice e scorrevole, capace di salti e piccole invenzioni che lo rendono piacevole e di valore. Nicosia trova i tempi e le parole giuste per condurci indietro di almeno un quarantennio, in pieni anni sessanta, in un luogo, la Sicilia, che vive a modo suo la stagione del boom economico. Una storia di mafia lontanissima da echi moderni di successive Gomorra ma molto più vicina alla narrazione “saporifera” dello Sciascia, del Pirandello verista o del Camilleri più sociale (senza la koinè linguistica italiano-siciliano-televisivo).

La Sicilia prima di essere letta è ascoltata, osservata, persino respirata. Si sentono gli odori di questa terra, i colori, gli ansimi di un popolo tanto complesso quanto affascinante. Morale ed etica, realtà e finzione, narrazione e dialoghi si respingono e si sovrappongono, si distanziano, si mescolano. Quello che ne esce fuori è un apparato narrativo difficile da definire: non è un romanzo né una novella, non è un reportage né una denuncia, non è un saggio né un testo da adattare per il cinema o per il teatro. Si tratta di un collage tra le parti, una linea che attraversa i generi e le strutture canoniche. Una linea che però conosce benissimo il suo percorso, lo intraprende, lo persegue e ci conduce, per mano, all’interno della storia.

(Matteo Chiavarone, laureato in lettere, redattore. Ha lavorato nella redazione della Perrone Editore fino al gennaio 2008, occupandosi di alcune collane come “ Poiesis” e “L’antologica”. Ha organizzato per la Notte Bianca 2007 uno  “Slam Poetry Night” presso la Biblioteca Raffello di Roma. Caporedattore del quotidiano del lettore online “Il Recensore”)

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